Il ruolo delle competenze: come ripensare la formazione in azienda

Il ruolo delle competenze e della formazione, oggi, qual è in un’azienda? Se ripensare le infrastrutture tecnologiche sembra diventato il “mantra” di questi tempi digitali e interconnessi, impossibile non chiedersi qual è (e quale sarà) il vero ruolo delle competenze.

Il ruolo delle competenze: come è possibile ripensare la formazione in azienda, oggigiorno? In questo periodo quasi tutti gli articoli di management iniziano con un’ampia descrizione (spesso a tinte molto forti) della situazione e del contesto in cui la maggior parte delle organizzazioni si trovano attualmente ad operare.

È naturale: l’incertezza del periodo rende difficilmente applicabili logiche, approcci e strumenti gestionali che fino a ieri sembravano consolidati.

La conseguenza di tutto ciò è la ricerca di nuovi paradigmi da utilizzare per far crescere e prosperare le imprese: in questo senso, ad esempio, ripensare le infrastrutture tecnologiche sembra diventato il “mantra” di questi tempi sempre più digitali e sempre più interconnessi.

Il ruolo delle competenze quale diventerà?

Una domanda però sorge spontanea (almeno tra coloro che ritengono centrale il ruolo delle persone all’interno delle organizzazioni): qual è e quale sarà il ruolo delle competenze?

Molti ritengono che, proprio a causa dell’elevata complessità del contesto e dei sistemi (organizzativi e tecnologici) sarà sempre più importante, per le imprese, dotarsi di risorse con le giuste competenze. Ciò per poter essere in grado di “governare” tali sistemi e di “navigare” la complessità anziché subirla.

Quindi le imprese devono dire addio alla “manodopera” e cominciare a sviluppare persone che sappiano utilizzare e sviluppare la conoscenza.

Le giuste competenze

Ma cosa vuole dire “giuste” competenze? Vuole dire adeguate alle caratteristiche del contesto: in altre parole, sempre meno competenze “standard” o “comprate a catalogo” e sempre più competenze specifiche, adattate e “customizzate” internamente. Perché le sfide sono sempre più complesse e nuove.

La capacità delle imprese, da un lato, di sviluppare il proprio “sapere” e dall’altra di far crescere le proprie persone sarà sempre più un asset strategico.

In questo senso lo sviluppo sempre più profondo e sempre meno banale dei processi di formazione interni è emerso come una caratteristica evidente dell’ultimo quinquennio.

Nuovi orizzonti, vecchi limiti

Anche da questo punto di vista, la pandemia ha rappresentato un punto di discontinuità: ci ha fatto affrontare nuove sfide e scoprire nuovi orizzonti ma anche vecchi limiti.

Ad esempio, l’abuso di comunicazione asincrona e a distanza ci ha fatto “sbattere la faccia” sui limiti dei nuovi strumenti di comunicazione: sicuramente molto efficienti quando si tratta di formare molte persone su conoscenze di base ma molto poco efficaci quando si deve trasmettere quello che i francesi chiamano savoir faire: il “saper fare”.

Così, anche in questo aspetto notiamo come la modernità risulti caratterizzata da forte polarità: da un lato formazione base (quasi scolarizzazione) fatta in modo massivo con strumenti tecnologici “a basso impatto”, dall’altra formazione avanzata fatta in modo sempre più sofisticato. Questi due estremi vengono miscelati in un “blend” sempre più personalizzato e unico da ogni organizzazione.

La formazione esperienziale

Restando sul versante delle competenze più avanzate, un ruolo sempre più importante stanno avendo i sistemi di formazione “esperienziale”. Diversi sono i motivi:

-la necessità di garantire elevata efficacia nel “trasferimento”;

-il bisogno di accelerare la curva di apprendimento e aumentare la capacità di “fare”;

-l’esigenza di customizzare il processo di apprendimento individuale;

-la scoperta di come un buon percorso formativo “non tradizionale” possa diventare anche uno straordinario strumento di motivazione e di retention del personale e in particolare di valorizzazione dei “talenti”.

La formazione, quindi, laddove le competenze sono specifiche, complesse e avanzate, richiede un forte livello di interazione allievo-docente e una serie di elementi abilitanti: dalla “gamefication” all’utilizzo di ambienti di simulazione (sia reale che virtuale).

La Kart Factory

In particolare, vale la pena condividere l’esperienza fatta con uno specifico strumento di simulazione: la Kart Factory.

Questa fabbrica simulata, è nata alcuni anni fa per cercare di risolvere, grazie al suo realismo, il problema di fondo di quasi tutti i “business game”: sono accattivanti e stimolanti ma difficilmente portano fuori dalla propria zona di confort e, quindi, non permettono di apprendere qualcosa di realmente nuovo.

Nata con lo scopo di trasferire efficacemente i concetti base della Lean Production, in breve si è rivelata straordinariamente efficace per lavorare su competenze più specifiche (evolvendosi a vera e propria piattaforma didattica) ma soprattutto per lavorare sulle capacità e sui comportamenti.

Integrare gli aspetti metodologici e comportamentali con quelli tecnologici

Dopo aver, in pochi anni, contato migliaia di manager tra coloro che si sono “sporcati le mani” con l’apprendimento sul campo, la Kart Factory si è ulteriormente evoluta integrando gli aspetti metodologici e comportamentali con quelli tecnologici.

La capacità di portare le persone al di fuori dalla propria confort zone è risultata vincente per sviluppare due abilità di base che, oggi, sono sempre più importanti: la capacità di affrontare le sfide del cambiamento senza poter sfruttare l’esperienza, ma creando, in modo esplorativo, le soluzioni più adeguate alla specificità della situazione; la capacità di fare ciò non come singoli individui ma come gruppo.

Non è un caso che, uno studio svolto dall’Università di Castellanza (LIUC) e presentato alcuni anni fa a un convegno Lean Education a Norfolk, avesse evidenziato come i risultati migliori tra le migliaia di partecipanti ai diversi workshop Kart Factory fossero proprio quelli ottenuti da soggetti più giovani e meno esperti.

(di Fabio Salomone, General Manager di Staufen Italia)

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a cura di Simona Recanatini