Detriti spaziali, l’italiana D-Orbit sceglie Creo per lo sviluppo delle sue soluzioni innovative

Con il lancio dello Sputnik avvenuto nel 1957 la storia dell’uomo è entrato ufficialmente nell’era spaziale.

Con il lancio dello Sputnik avvenuto nel 1957 la storia dell’uomo è entrato ufficialmente nell’era spaziale. Da allora sono molte le nazioni che hanno preso parte alla corsa tecnologica per la conquista dello spazio, con lanci di razzi di vario tipo e la messa in orbita di migliaia di satelliti. Molti di loro, giunti a fine vita, vagano in orbita causando potenziali rischi per le attuali missioni.

Lo scorso 30 maggio 2020 abbiamo assistito alla spettacolare partenza del Dragon 9, il razzo della SpaceX di Elon Musk che, grazie alle sue innovative caratteristiche di riutilizzo dei lanciatori, dal 2017 ha aperto un nuovo capitolo nella storia dell’era spaziale. Questa prima missione con equipaggio, che dopo la chiusura del progetto Space Shuttle nel 2011 ha segnato la ripresa di un lancio dal suolo negli Stati Uniti, ha visto ormai stabilmente la collaborazione tra un ente governativo come la NASA e una società privata, dopo i primi test senza equipaggi dal maggio 2015 allo scorso gennaio.

Non è la prima volta che Musk occupa le prime pagine dei giornali. Nel febbraio 2018 l’eccentrico imprenditore aveva infatti lanciato il Falcon Heavy, il razzo più potente mai progettato e fino ad allora decollato, con a bordo una Tesla Roadster, successivamente rilasciata in orbita con una manovra degna di un film di Stanley Kubrick, sulle note di Life on Mars? di David Bowie, una colonna sonora che ha reso la missione ancor più coinvolgente dal punto di vista emotivo.

Tutto questo ci porta a dire che siamo davvero agli albori di una nuova fase industriale. Si pensi all’imminente arrivo del 5G, quando nuovi satelliti dovranno essere posti in orbita per sostenere l’immenso traffico dati che non sarà possibile gestire con la sola infrastruttura telecom terrestre. Tutto ciò darà il via a una nuova corsa nello spazio, non politico-propagandistica o tanto finalizzata all’esplorazione bensì economico-finanziaria, per accaparrarsi quanti più clienti 5G possibili in tutto il mondo. Se da un lato questo rappresenta una delle sfide più eccitanti che segneranno il prossimo futuro, dall’altro introduce problemi di non poco conto, per la crescente presenza di “detriti spaziali” che si trovano ad orbitare intorno alla Terra e a vagare nel Sistema Solare.

Cosa sono e perché sono un problema

Il termine “detriti spaziali” indica gli oggetti orbitanti prodotti dall’uomo che sono giunti al loro fine vita: satelliti fuori uso, stadi di razzi vettori, altri stadi di servizio che sono stati abbandonati in precedenti missioni, nonché tutti i frammenti di vario tipo e di diverse dimensioni che l’erosione, le varie collisioni o gli effetti di disintegrazione spaziale hanno generato nel corso degli anni. Il rischio costante è che questa vera e propria “spazzatura” possa entrare in collisione con i veicoli e i satelliti orbitanti nello spazio a velocità che possono anche raggiungere i 50.000 km/h. E questo, nonostante la rete di sorveglianza spaziale degli Stati Uniti sia in grado di tracciare a radar più di 13 mila oggetti vaganti anche da 10 cm di dimensione.

A questo proposito, nell’aprile 2016 l’astronauta britannico Tim Peake ha riportato un episodio dal bordo della Stazione Spaziale Internazionale: un detrito spaziale non ben identificato ha centrato in pieno uno dei finestrini della Cupola, il celebre modulo di osservazione (costruito in Italia) inserito dal 2010 nella ISS, provocando una scheggiatura circolare di 7 mm di diametro.

Lo scorso anno, il National Geographic ha riferito che sono centinaia di migliaia gli oggetti che vagano in maniera incontrollata nello spazio, dai grandi satelliti in disuso fino ai dadi e ai bulloni di piccole dimensioni, il che costituisce un vero e proprio pericolo per qualsiasi oggetto che dovesse accidentalmente incrociare la loro traiettoria.

Una risposta concreta

Il problema dei detriti spaziali ha portato alla ribalta il tema del decommissioning dei satelliti che raggiungono il fine vita. I sistemi di propulsione montati a bordo satellite non sono concepiti per eseguire operazioni di dismissione controllata, il che costringe gli operatori ad effettuare interventi lunghi, complessi e soprattutto costosi. Tali interventi portano spesso a ridurre la vita utile dei satelliti e, inoltre, in caso di guasto non possono nemmeno essere effettuati.

Un’efficace operazione di recupero dei satelliti quando giunti al loro fine vita consentirebbe di ridurre notevolmente il problema dei detriti spaziali. È qui che D-Orbit, società italiana con sede a Como, specializzata nella gestione del ciclo di vita delle missioni spaziali, ha studiato una soluzione decisamente utile.

Il suo prodotto D3 è un motore indipendente e intelligente ottimizzato per operazioni di decommissioning spaziale. Se installato sui satelliti, D3 consente di toglierli dall’orbita in modo rapido e sicuro non solo al loro spegnimento, ma anche in caso di guasto grave. Per la realizzazione di D3, D-Orbit ha scelto di utilizzare la piattaforma di progettazione Creo in collaborazione con Dedagroup Business Solutions, partner di PTC, identificandola quale miglior soluzione soprattutto in termini di flessibilità con cui potersi rapidamente adattare alle diverse richieste dei clienti.

D3 è pienamente conforme alle vigenti normative internazionali in tema di detriti spaziali e consente agli operatori satellitari di mantenere ‘pulite’ le orbite operative riducendo quindi i rischi di collisione. In base alle diverse configurazioni, D3 è in grado di eseguire operazioni di rientro rapido per i satelliti LEO (Low Earth Orbit) e di parcheggio dei satelliti MEO (Medium Earth Orbit) e GEO (Geostationary Earth Orbit) nella cosiddetta orbita cimitero, destinata ad accogliere le apparecchiature spaziali che hanno esaurito le loro funzionalità.

Con l’ausilio di Creo, la società ha inoltre progettato InOrbit NOW, una famiglia di soluzioni end-to-end dedicate al mercato del Nuovo Spazio, che include servizi di lancio e deployment, software di controllo delle missioni e una serie di servizi aggiuntivi.

Conclusioni

Le tematiche ambientali oggi hanno assunto un’importanza tale che non solo ci vedono impegnati nella salvaguardia del nostro pianeta, ma addirittura nella ricerca di un nuovo mondo che possa essere potenzialmente adatto alla vita umana. In quest’ottica dovremmo fare tesoro dei nostri errori passati e, quindi, anticipare le problematiche che i rifiuti spaziali potrebbero causare nel prossimo futuro grazie al contributo di aziende come D-Orbit.

Ciò che oggi lasciamo rappresenta l’eredità di cui dovranno farsi carico le future generazioni. Per citare Franklin D. Roosevelt, «Non sempre possiamo costruire il futuro dei nostri giovani, al contrario possiamo preparare la gioventù per il futuro».

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a cura di Loris Cantarelli