Marketing 4.0 per l’azienda 4.0

La rivoluzione digitale sta trasformando le prassi di marketing nei settori B2B (macchine industriali comprese). Quali sono i tools digitali su cui puntare per non restare vittime di questa evoluzione?

La rivoluzione digitale sta trasformando le prassi di marketing nei settori B2B (macchine industriali comprese). Quali sono i tools digitali su cui puntare per non restare vittime di questa evoluzione?

di Marco Bianchi

Provate a ricercare su Google “Digital marketing B2B”. Quando l’ho fatto io, dovendo preparare questo articolo, sono usciti 234 milioni di risultati in 0,38 secondi. Se ci fosse un dubbio sul fatto che le metodologie di marketing digitale siano uscite dal recinto del B2C e abbiano già invaso il territorio delle relazioni commerciali fra aziende, la “prova Google” potrebbe bastare a dissolverlo. Ma vi sono argomenti ancora più convincenti che spingono ad approfondire la questione. Il processo di digitalizzazione delle aziende ha carattere pervasivo, impatta su tutta l’organizzazione, non può avere limiti: è chiaro a tutti che non è ragionevole avere progettazione, produzione, gestione, controllo, amministrazione eccetera, quindi la quasi totalità del processo di business secondo il modello 4.0, mentre altre funzioni aziendali egualmente strategiche restano ancorate a modelli precedenti. Avremmo un ingranaggio del meccanismo aziendale che funziona con regole differenti da tutto il resto, con l’inevitabile esito di non riuscire a cogliere tutti i benefici degli ingenti investimenti che la trasformazione digitale comporta.

Il B2B è cambiato

Naturalmente, il marketing digitale nel B2B si differenzia in modo rilevante da quello utilizzato nel mondo B2C. Nel B2B normalmente i cicli di vendita sono più lunghi, il bacino di utenza è limitato e i prezzi sono in media più elevati. Anche il processo di lead generation e di gestione successiva sono molto diversi. I bisogni del cliente, quando il cliente è un’azienda, sono profondamente differenti da quelli di un consumatore privato. Le aspettative, il processo decisionale, le relazioni sono diverse. A tal punto da fare apparire fondata la posizione contraria: quello che conta in una relazione B2B è il rapporto diretto, la fiducia, il “guardarsi negli occhi” e così via. Era vero, e in certe situazioni, in certi ambiti, può essere ancora vero.

Ma un quarto di secolo di Internet – cioè più dello spazio di una generazione – ha cambiato nel profondo i comportamenti e la cultura degli individui che oggi popolano le aziende a tutti i livelli. Se ci serve un’informazione, la cerchiamo online. E vogliamo averla subito. Se dobbiamo acquistare qualcosa, facciamo una ricerca online. Se abbiamo un dubbio sulla scelta, cerchiamo referenze on line, blog, consigli eccetera. Una volta deciso l’acquisto, è sempre più probabile che esso avvenga su un sito di e-commerce. Se non siamo soddisfatti, ci aspettiamo supporto e assistenza sempre on line. E il tipo di esperienza che facciamo nel processo di acquisto e post-acquisto sarà il motivo che determinerà se torneremo per il prossimo acquisto. È inevitabile che questo standard comportamentale ci con dizioni anche quando agiamo in qualità di manager aziendali o professionisti. Il tipo di esperienza che facciamo nel privato diventa il modello di default di quanto ci aspettiamo di sperimentare nella professione.

Secondo un recente studio della società di consulenza Accenture (Industrial Consumerism, 2018), la rivoluzione digitale che sta trasformando le prassi di marketing nel B2B è in pieno svolgimento, e ci sono già delle aziende che hanno migliorato le loro performance in modo sostanziale grazie a una adozione tempestiva. Secondo lo studio, è plausibile che entro il 2025 la maggior parte dei clienti B2B avrà un touch point digitale in qualche punto del proprio processo d’acquisto, situato fra la ricerca e l’ordine. Ciò comporterà che oltre la metà delle transazioni industriali avverrà on line. Le aziende dovranno cambiare radicalmente sia il loro approccio al marketing, alle vendite e al servizio post vendita, sia l’allocazione dei budget. Secondo Accenture, le aziende che resteranno indietro nell’introduzione di queste innovazioni potrebbero vedere un calo fra il 10% e il 20% del loro fatturato. Ma ancora oggi sono poche le aziende che si stanno preparando al cambiamento.

L’elenco delle risorse necessarie inizia dal marketing. Qui servono tools digitali come un portale dotato preferibilmente di un sistema di configurazione. Poi l’utilizzo di SEO (Search Engine Optimization) connesso all’advertising online. Infine, un efficace content management. Quanto all’area vendite, servono strumenti per guidare il cliente nel funnel e per la “customer activation”. Anche la fase di consegna può prevedere l’automazione del planning, della logistica e dell’assistenza al cliente. Ma tutto questo sarebbe inutile se alla base non vi fosse una adeguata capacità di raccogliere, analizza re e gestire i dati, che richiede un data warehouse aziendale e l’utilizzo di strumenti di business intelligence e A.I.

Ritardo inconsapevole

La maggior parte delle aziende che hanno partecipato all’inchiesta ritiene di non essere in ritardo su questo fronte. Ma secondo gli autori dello studio, questa percezione è assai lontana dalla realtà, e tale “dissonanza cognitiva” sarebbe dovuta a uno o più di tre possibili fattori: 1) la maggior parte delle aziende si confronta con i suoi pari, ma non con aziende leader nella trasformazione digitale; 2) i decisori aziendali hanno difficoltà a riconoscere che la digitalizzazione è un processo continuo; 3) le organizzazioni sono rigide e non favorevoli al cambiamento, soprattutto se radicale. L’indagine ha riguardato circa 270 aziende con fatturato fra 500 mila e 10 miliardi di dollari USA, in cinque settori: macchinari industriali (37%), impiantistica (19%), costruzioni (18%), componentistica automotive (13%), consumi durevoli (13%). Le aziende dovevano dichiarare il loro livello di maturità in tre dimensioni chiave: l’attenzione alla customer experience; la digitalizzazione del front-office; la trasformazione organizzativa con riguardo alla cultura, alle skills e ai talenti. I risultati, in sintesi, hanno messo in luce che un piccolo gruppo di queste aziende, il 16%, è ai vertici nel processo di trasformazione e sta tenendo realmente il passo con la velocità dell’innovazione. Il loro EBIT è più alto del 13% rispetto ai loro pari e cresce a un ritmo dell’8% più veloce. Il livello di “maturità digitale” varia in funzione sia dei settori industriali considerati che della geografia. Il settore dei consumi durevoli è il più maturo, anche grazie a un orientamento al cliente di più vecchia data. Seguono il settore delle costruzioni, poi quello dei macchinari industriali, dell’impiantistica e infine la componentistica automotive. L’analisi geografica riserva una sorpresa: le aziende europee risultano molto più avanti rispetto a quelle statunitensi su tutte le dimensioni analizzate.

E come fanno queste aziende, in concreto, a sfruttare tutti i benefici della digitalizzazione? Alcune risposte vengono dalla ricerca. Una caratteristica comune è un processo strategico chiaro e definito. Esso deve includere la trasformazione digitale del marketing, delle vendite e del servizio post vendita, con l’obiettivo di generare una customer experience di alta qualità. Alla visione strategica deve seguire una corretta pianificazione e implementazione, e dev’esserci il supporto di schemi di governance adeguati, che sappiano fornire le necessarie risorse umane e finanziarie. La qualità del capitale umano rimane sempre una delle variabili più critiche.

L’adozione di tecnologie avanzate ha anche l’effetto di contribuire ad attrarre e conservare in azienda talenti e competenze. Queste aziende hanno intrapreso un percorso di trasformazione di tutti gli aspetti del loro modello operativo: la cultura, la struttura organizzativa, le risorse umane. E hanno chiaro che per reinventare il loro business model occorre un radicale cambiamento della loro strategia di approccio al mercato. Un aspetto cruciale è quello di accrescere il potere del cliente di “autoservirsi” (self service capabilities) attraverso l’intero ciclo di vita del prodotto e del servizio. A questo scopo queste aziende leader investono in tecnologie digitali come A.I., RPA (Robotic Process Automation), AR/VR (Augmented/Virtual Reality). Tutto il processo marketing-vendite-post vendite viene trasformato.

Gli addetti cessano di essere semplici “orders takers” per diventare facilitatori e consulenti del cliente. Se passiamo dal mondo aziendale osservato dalla ricerca di Accenture – aziende da grandi a grandissime – a quello tipico della nostra realtà italiana, fatto di imprese da piccole a medie, con poche medio-grandi e pochissime grandi, il tema cruciale è chiaramente quello della sostenibilità di investimenti in tecnologia che non sempre sono scalabili. Il mercato tuttavia vede una costante e veloce riduzione dei costi delle applicazioni e dei tools utilizzati dal digital marketing, e non si vede perché questa tendenza non debba continuare, rendendo possibile l’accesso alle tecnologie più avanzate anche a budget non elevati.

Tecnologie & marketing

Non a caso, la tendenza più importante del settore riguarda le MarTech (Marketing Technologies). Secondo una ricerca di Gartner (CMO Spend Survey, 2019) il budget allocato sulle MarTech (inclusi i servizi esterni legati all’utilizzo delle nuove tecnologie) è cresciuto dal 22 al 29% del totale, in un contesto di investimenti stazionari. Secondo un report di Forrester (B2B Marketing & Sales, predictions 2019), è prevedibile addirittura un incremento a doppia cifra del mercato MAP (Marketing Automation Platform) in un’ottica di “full lifecycle marketing”. Il software è utilizzato per creare processi standard, scalabili e automatizzati in tutte le fasi, dal planning all’execution fino al reporting, basati su piattaforme che supportano l’intero ciclo.

Un altro trend molto forte riguarda aspetti organizzativi, per superare la divisione a silos che affligge molte (o moltissime) aziende per quanto riguarda la gestione dei dati dei clienti. L’obiettivo è ottenere una visione integrata delle diverse fonti di dati, on line e offline. Più del 70% dei marketer B2B, sostiene Forrester, sta puntando a creare una CDP (Customer Data Platform) con l’obiettivo di risolvere queste problematiche.

Un terzo importante trend del marketing B2B evidenziato dagli analisti riguarda l’ABM (Account Based Marketing). Questa metodologia utilizza campagne fortemente mirate e personalizzate che si rivolgono a un numero limitato di clienti precedentemente selezionati. Viene dunque rovesciato il tradizionale “imbuto” (funnel): l’ABM parte dalle target company, in precedenza identificate come quelle che offrono le maggiori opportunità, e opera proattivamente per guidarne le esigenze attraverso contenuti dedicati ed esperienze personalizzate, erogati tramite piattaforme tecnologiche dedicate. La capacità di produrre e consegnare al cliente contenuti di qualità è un fattore chiave per il marketing B2B. Non è semplice riuscire a emergere dal rumore di fondo della rete e del mercato. Servono contenuti di alta qualità e focalizzati su temi specifici. Ma, secondo Forrester, sembra che le aziende facciano ancora fatica a soddisfare le aspettative dei buyer: il 57% ritiene che il materiale ricevuto dai vendor sia inutile, e si rivolge ad altre fonti nel 60% dei casi. I buyer, viceversa, sono sempre più informati, usano i motori di ricerca, leggono i siti di informazione, i forum, i siti dei vendor per poi passare ai consigli dei colleghi, partecipare agli eventi e seguire i social. Solo alla fine avviene il contatto col venditore. Il 62% afferma di essere in grado di selezionare i propri fornitori solamente sulla base dei contenuti digitali. Quanto all’A.I., Forrester prevede che oltre il 20% delle piattaforme marketing utilizzerà l’A.I. per migliorare l’engagement del cliente. L’A.I. sarà infatti sempre più integrata nella marketing automation. In futuro a fare la differenza saranno i sistemi di analisi dei dati basati sull’A.I. in grado di aumentare la personalizzazione, dalla fase di lead generation e lungo tutte le successive attività, fino alla chiusura del contratto.

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a cura di Loris Cantarelli