Sicurezza dei robot, come cambia la normativa

Il progresso tecnologico e nuovi utilizzi degli spazi di lavoro hanno reso necessaria una revisione della normativa ISO 10218 relativa ai robot e ai sistemi robotizzati

Il progresso tecnologico e nuove modalità di utilizzo degli spazi di lavoro (come quella collaborativa) hanno reso necessaria una revisione della normativa ISO 10218 relativa ai robot e ai sistemi robotizzati. Approfondiamo questo processo di revisione e i temi al centro del dibattito.

di Federico Vicentini, ricercatore presso ITIA-CNR

 

Una norma tecnica sulla sicurezza ha due scopi fondamentali: rappresentare lo stato dell’arte nella realizzazione di dispositivi e applicazioni e specificare requisiti obbligatori da introdurre nel progetto realizzativo al fine di ottenere un grado di protezione sufficiente per le persone. In entrambi questi aspetti, molti organismi tecnici normativi riconoscono che sono presenti delle lacune nella ISO 10218 relativa ai robot e ai sistemi robotizzati. Lacune che sono rese evidenti da un uso pluridecennale della norma stessa. In aggiunta, sono comparsi e si sono consolidati nella cultura tecnica, anche se non ancora in misura corrispondente nel mercato, i robot per le applicazioni collaborative. Regolare progresso tecnologico che determina una necessità di adeguamento, rilievo di carenze di contenuto specifico nei requisiti delle funzioni di sicurezza, nuove modalità di utilizzo degli spazi di lavoro (soprattutto in modalità collaborativa, che necessitano di definizione), nuovi ambiti come la manipolazione mobile. Questi sono i principali motivi che sostengono uno sforzo di revisione organica e profonda di entrambe le parti della ISO 10218. La ricaduta nella pratica è notevole poiché si tratta del principale strumento di conformità ai requisiti della Direttiva Macchine, ovvero di marcatura CE per il macchinario comprendente robot industriali.

Il processo di revisione

La normazione tecnica sulla sicurezza dei robot ha una storia più che trentennale. Ha sempre accompagnato le varie epoche di espansione dei robot industriali e i progressivi miglioramenti tecnici delle macchine. L’ultima revisione risale alla fine del decennio scorso, a partire dal 2009, con il completamento del processo di pubblicazione della versione corrente nel 2011 con la conferma del recepimento in forma armonizzata in Europa e con l’allineamento negli Stati Uniti dell’ANSI/RIA 15.06 allo standard internazionale nel 2012. Anche nel resto del mondo (Giappone, Cina, Sud Corea, Taiwan) vige l’adozione dello standard ISO come normativa nazionale, adeguata variamente nel periodo 2012-2015.

La revisione attuale è un processo destinato a terminare con la pubblicazione della nuova versione nel 2020, nell’ipotesi di un percorso regolare e di approvazione da parte della maggioranza degli organismi nazionali che hanno adottato la versione corrente. Fino ad allora produttori, integratori, utilizzatori, enti indipendenti ed esperti sono impegnati nel miglioramento di un testo molto importante per il mondo della robotica industriale.

A che punto siamo

Nel momento in scriviamo (e voi leggete), il processo è appena iniziato. Non è in alcun modo prevedibile la forma finale che assumerà la normativa revisionata, fatto salvo l’obiettivo di mantenere l’armonizzazione con la Direttiva Macchine. Si prevedono cambiamenti sostanziali dedicati a migliorare il testo, nel solco tracciato dalle precedenti edizioni in termini di garantire strumenti di protezione per gli operatori.

Lo scopo di queste considerazioni è, pertanto, la volontà di diffondere nella comunità industriale il senso dei lavori e dell’approccio scelto insieme ad alcuni temi in fase di dibattito, per stimolare la partecipazione e la segnalazione di esperienze d’uso utili al miglioramento della normativa.

Le priorità di revisione

Come revisionare una norma adottata a livello globale? A fronte di una larghissima maggioranza di Paesi che ha votato per emendare la norma, meno semplice si è rivelato concordare il metodo di revisione. I temi da rielaborare sono molti e gli aspetti lacunosi richiedono una cura di redazione non certo favorita dal ridotto tempo disponibile (circa 18 mesi effettivi). In ambito ISO, e a cascata nelle sedi nazionali, si sono discusse e votate le priorità di intervento. La priorità massima – quindi lavorazione immediata e risultato/consenso da raggiungere – è assegnata alla definizione dei requisiti delle funzioni di sicurezza necessarie al robot e al sistema robotizzato. La seconda priorità, con obiettivi di risultato simili, è relativa alla terminologia e all’aggiornamento degli aspetti legati alla robotica collaborativa nella 2018, in precedenza assenti di fatto.

A un livello lievemente inferiore sono in cantiere le clausole sulla mobilità del sistema robotizzato, soprattutto in ragione del rapporto con altri ambiti in cui sono coinvolti mezzi mobili come gli AGV e i robot di servizio in ambito non industriale, per entrambi i quali esistono un Comitato Tecnico e un corpus normativo rispetto cui regolarizzare i requisiti, evitando sovrapposizioni. Infine, a un grado di priorità purtroppo inferiore (in relazione all’importanza che, invece, riveste nella pratica quotidiana di allestimento cella) si trova il tema della validazione e dei requisiti di collaudo: una volta seguite le indicazioni di norma, soprattutto in applicazioni collaborative, come rendere evidente e documentabile il rispetto dei requisiti? Come comprovare il lavoro svolto ed essere più confidenti nei confronti dell’auto-dichiarazione di conformità? In generale, poi, si sta procedendo nel contempo a sanare la frequente sovrapposizione degli aspetti relativi al robot tout court, oggetto della ISO 10218-1, rispetto ai requisiti di integrazione cui invece è dedicata la 10218-2. Ogni aspetto specifico della applicazione, di interesse primario per la maggior parte degli utenti come per esempio l’organizzazione del layout e come rendere sicuro lo spazio di lavoro, è pertanto destinato a essere compreso soltanto nella parte 2. L’utente dovrebbe essere, alla fine, nella condizione di trovare un singolo riferimento per ciascun aspetto di conformità da riportare in Fascicolo Tecnico, senza ripetizioni.

I temi critici

Sul tema di maggiore criticità – le funzioni di sicurezza – l’elaborazione di requisiti dettagliati e vincolanti si scontra con la natura di generalità delle applicazioni svolte dai robot. Da una parte infatti una norma di prodotto, o quanto meno dedicata a un settore molto specifico, dovrebbe mettere in condizione gli utenti di limitare lo sforzo di analisi (del rischio, delle opzioni, delle stime) a favore di riferimenti diretti. Sfortunatamente, tuttavia, la natura stessa di un sistema robotizzato non si concilia con la generalizzazione. Il tema è molto articolato e spesso genera contraddizioni logiche e tecniche: ne riparleremo in queste stesse pagine. La seconda priorità, invece, riguarda la definizione di spazio collaborativo e robot collaborativo. Non vi è alcun dubbio che l’avvento di robot utilizzabili in applicazioni aperte a diretto contatto con gli operatori, grazie alle loro caratteristiche di riduzione del rischio, abbia cambiato l’approccio generale alla sicurezza.

Il testo attuale è tuttavia ancora esclusivamente incardinato sul concetto di rimozione del pericolo per separazione (safeguarding). Questa strategia di protezione è ancora oggi largamente predominante: la riduzione del rischio si ottiene, per esempio, con i ripari, fissi e mobili, gli interblocchi e l’adozione dei mezzi di protezione (dispositivi optoelettronici, a pressione e così via) per la realizzazione di un perimetro protetto. Tuttavia è cambiato il modo di accedere agli spazi di lavoro grazie a dispositivi più flessibili nella gestione degli ingressi in aree aperte, sia in modalità collaborativa che tradizionale. In altre parole, i mezzi di protezione sono spesso più immateriali rispetto al passato: per esempio la definizione di aree proibite o di contenimento (safe zones), da attivare eventualmente in maniera differenziale con sensori di campo, consente di configurare aree molto specifiche e utilizzare logiche di sicurezza articolate.

Per i modi collaborativi, poi, le forme di protezione sono ancora meno evidenti perché intrinseche nelle macchine (per esempio con la limitazione di forza) e attive durante le operazioni. È facile anche transitare tra più modi delcollaborativi e tra alcuni di questi a modalità più tradizionali di safeguarding. Insomma, esiste come dato di fatto la necessità di definire dove avviene l’applicazione e come si classifica questo spazio. Le definizioni sono importanti in una normativa perché consentono un chiaro e univoco riferimento ai vari casi in cui si rendano necessari dei requisiti (da verificare e controllare una volta realizzati) molto diversi tra loro. Il tipo di protezione da adottare nell’uso collaborativo – per esempio, una limitazione di velocità – è molto diverso da quello realizzato negli spazi safeguarded dove il sistema robotizzato non è operativo in presenza dell’operatore. È da notare che la definizione di spazio collaborativo/safeguarded (“spazio protetto o mezzo di protezione”, non tradotto per mettere in evidenza che è una delle possibili strategie di riduzione del rischio e che la “protezione” in realtà dev’essere garantita anche nelle modalità collaborative) vale solo per la applicazioni, ovvero dove si possa definire un contesto completo per lo svolgimento delle operazioni richieste, e quindi il sistema robotizzato completo (tool, attrezzi, ambiente). Per le applicazioni collaborative in particolare non ha senso – dal punto di vista normativo – la definizione di “robot collaborativo”, ma solo di applicazione e spazio in cui avviene. Servono gli altri elementi, infatti, per verificare le condizioni di uso, interazione e, se avviene, contatto. Parallelamente, anche il safeguarding non è eseguibile con il solo robot. Nel linguaggio corrente rimarrà sicuramente la definizione di “robot collaborativo”, ma è materia di sforzo normativo darne una definizione più corretta.

La proposta attuale è una definizione di shared space per comunicare l’idea che sia possibile una condivisione dello spazio (in condizioni di sicurezza, quindi pericolo presente ma gestito), in modo complementare al principio del safeguarding, in cui invece la condivisione di uno spazio non può avvenire prima che il pericolo non sia stato rimosso. La proposta di abbandono del termine “collaborativo” deriva semplicemente dal fatto che si possono ottenere applicazioni collaborative condivise nello shared space anche utilizzando robot tradizionali con le dovute dotazioni aggiunte. Inoltre, spesso il concetto di “collaborativo” viene inteso in senso troppo ristretto come lavorazione congiunta, ma ai fini della sicurezza anche l’accidentalità e la scarsa frequenza di accesso allo spazio condiviso (coesistenza? compresenza?…) non cambiano la necessità di predisporre dei requisiti di protezione. Ben al di là della questione semantica si tratta, nella pratica, di fare scelte di macchine e componenti, e quindi di costi, in base a un riferimento preciso.

Conclusioni

I temi accennati sono attualmente in discussione, e pertanto il risultato è aperto. Per chi non si occupa di normativa, o ne subisce dubbiosamente gli effetti, è importante sapere che tutto il dibattito interno è sempre ispirato a dare strumenti certi per le scelte progettuali e a garantire che tali scelte siano consistenti con l’obiettivo di proteggere l’operatore e le persone nell’uso del macchinario. Molto spesso il percorso è accidentato, ed è per questo motivo che è auspicabile che siano coordinate molte voci ed esperienze. Si segnala anche l’indagine CNR-ITIA sul tema della sicurezza dei robot industriali (approfondibile qui).

Come partecipare

La normazione tecnica sui robot in Italia è di competenza UNI attraverso il gruppo di lavoro UNI/CT24 GL09, che sovrintende a tutti i settori della robotica (industriale, medica, servizio) e di cui l’autore di questo articolo è coordinatore. Per la sicurezza dei robot industriali, il corrispondente organo internazionale è il gruppo di lavoro ISO/TC 299 WG3. La partecipazione alle attività parte dai gruppi nazionali, che discutono i temi impostati a livello internazionale e preparano commenti e proposte di modifica ai testi in preparazione. Nelle fasi finali del ciclo di vista della preparazione di testi normativi, avvengono votazioni e decisioni sull’adozione dei documenti internazionali anche a livello nazionale. In Europa, inoltre, si attua anche l’importantissimo e delicato processo di armonizzazione alla Direttiva Macchine attraverso il CEN. La redazione di una norma tecnica è un processo di concorso di interessi, ovvero un luogo dove vengono elaborati e assemblati requisiti tecnici che derivano da diverse esperienze ed esigenze (integrazione di sistema, utilizzo del macchinario, sviluppo prodotto eccetera). Le sessioni di lavoro hanno una cadenza quadrimestrale e servono a collegare posizioni nazionali e internazionali (per info: [email protected]).

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a cura di Redazione